Intervista a Gustav Thöeni
Una sua discesa, come una ballata dei Beatles. Una leggenda dello sci, il nome di Gustav Thöni riecheggia persino in una canzone di Rino Gaetano, e quella volta che glielo dissi mi venne da sorridere quando vidi che neanche lo sapeva. Ci siamo conosciuti poco più di una decina di anni fa quando scrissi Thöni vs Stenmark, l’ultima porta, il libro che racconta l’incredibile epilogo della Coppa del Mondo del 1975 nel parallelo della Val Gardena; abbiamo condiviso presentazioni, interviste che gli ho fatto per questo o quel giornale, financo il set e il tour nei cinema italiani de La Valanga Azzurra, il docufilm diretto da Giovanni Veronesi dedicato all’epopea della squadra italiana che negli anni Settanta insegnava a sciare al mondo. Quand’ero ragazzino Gustav era il mio idolo, e l’amicizia che oggi ci unisce è un inno alla gioia, tanto è l’affetto che nutro per lui. «Non un campione, ma un super campione. Perché il supercampione va oltre» diceva di lui Mario Cotelli, l’uomo che attorno a Gustav Thöni forgiò la Valanga Azzurra, l’età dell’oro dello sci italiano. Ha vinto tutto il campionissimo, prima da atleta e poi da allenatore di Alberto Tomba, ma sempre a bassa voce e a debita distanza dagli abbagli e dagli eccessi che lo infastidiscono. Roba che non fa per lui. Un uomo d’altri tempi, dedito ai suoi affetti più cari, un uomo che ama il silenzio della natura tra boschi e ruscelli, segno della sua infinita classe pure quello. «Chi vince festeggia, chi perde spiega», ha sentenziato un giorno Julio Velasco; facciamo allora che se Gustav parla poco, è solo perché non ha nulla da spiegare. Va bene così. Oggi è un tranquillo e distinto signore di 74 anni che si occupa dell’albergo di famiglia, il Bella Vista nella sua Trafoi, con a fianco l’inseparabile e adorabile Ingrid, tre figlie e ben dodici nipoti, una piccola Valanga Azzurra.
Raccontami come il piccolo Gustav è diventato il grande Gustav Thöni. Quando hai iniziato a sciare?
Da bambino. Le prime scivolate sugli sci le ho fatte qui a Trafoi, a due passi dall’albergo Bella Vista dove c’erano gli skilift. Eravamo un bel gruppetto, ci trovavamo dopo la scuola, o il sabato e la domenica, battevamo la pista e mettevamo i paletti.
Com’è stata la tua infanzia?
All’aria aperta; d’inverno sulla neve e d’estate nei boschi e lungo i ruscelli. Diciamo che in casa stavo poco. Ero molto timido e, se potevo, me ne stavo fuori dall’albergo, a casa della nonna. Poi sono venuti gli anni alle Scuole Medie in collegio dai frati a Merano con mio cugino Roland; tornavamo a casa a Natale e Pasqua; la domenica mio papà veniva a prenderci alle sei del mattino per portarci a fare le gare, poi ci riportava a Merano.
Fu allora che imparasti il “passo spinta”?
Non l’ho imparato. Mi è venuto così, naturale; un accorgimento per far girare gli sci e andare più veloce.
Tu sei cresciuto parlando tedesco. Con l’italiano come te la cavavi?
Lo studiavo a scuola, ma avevo dei cugini il cui padre era di Reggio Calabria. Morì giovane, si trasferirono qui dalla loro nonna che era sorella della mia; siamo cresciuti insieme, loro parlavano italiano e mi hanno aiutato a impararlo. Prima di tutto le parolacce, eh, e poi tutto il resto.
Quando incontrasti Mario Cotelli?
Mi conosceva da ragazzino allo Stelvio, quando lui era maestro di sci e io sciavo con mio papà. Ho sempre avuto un bel rapporto con Mario. Anche lui e suo fratello Chicco presero lezioni da mio padre.
Hai vinto tutto; la soddisfazione più grande?
La medaglia d’oro in gigante alle Olimpiadi di Sapporo nel 1972. Allora le due manche erano suddivise in due giorni. Poi presi l’argento in slalom e salii sul podio con mio cugino Roland, bronzo. Altro bellissimo ricordo è la doppietta ai Mondiali di St Moritz del 1974, ma nel complesso ciò che vale di più per uno sciatore sono le quattro coppe del mondo.
Il complimento che ti faceva più piacere?
Quelli che ricevo oggi dagli appassionati alle proiezioni al cinema de La Valanga Azzurra. Si è risvegliato lo spirito di quegli anni e significa che dopo tanto tempo la gente si ricorda ancora di noi.
La critica che ti faceva più arrabbiare?
Quando allenavo Tomba e dicevano che Alberto era gestito male. Poi vinse undici gare in una stagione e conquistò la Coppa del Mondo. Portarono bene quelle critiche».
Mezzo secolo fa, il leggendario parallelo della Val Gardena: «Per me fu una sconfitta molto dura ma, tutto sommato, se dovevo perdere da qualcuno, è stato meglio perdere da Gustav Thöni che era il mio idolo», parole di Ingemar Stenmark
L’ho ringraziato per queste belle parole. Volevamo tutti e due la vittoria, fu un gran duello in una giornata interminabile e molto faticosa. Quel giorno rimane uno dei più bei ricordi della mia carriera. Stenmark è stato il più forte di tutti, una persona riservata come me. Un vero fuori classe.
Ti ritirasti nel 1980 a 29 anni. Eri ancora giovane…
Mi ero preparato a una nuova vita: avevo fatto una società con Paolo Rossi per un marchio di abbigliamento sportivo e volevo anche stare di più in famiglia: poi è andata diversamente, perché facendo l’allenatore ero sempre in giro.
Vent’anni anni dopo la tua quarta Coppa del mondo, fu Alberto Tomba a riportarla in Italia. Tu eri il suo allenatore: la coppia più strana e più bella del mondo. Come lo gestivi Alberto?
Ci siamo trovati bene insieme con Alberto, un atleta fantastico. I programmi li decidevamo insieme, io cercavo di mettergli a disposizione le condizioni ideali per potersi allenarsi bene, e lui è sempre stato molto disponibile».
Hai dodici nipoti: cosa gli dici per raccontar gli cos’era la Valanga Azzurra?
Gli faccio vedere il film di Giovanni Veronesi. Capiranno che eravamo un gruppo di amici che in pista davano tutto per superarsi, in gara e in allenamento. Questo spirito di sana competi zione diede una mano a tutti e portò a grandi risultati.
E oggi chi è Gustav Thöni?
Un signore di 74 anni che si dedica all’albergo di famiglia e porta gli ospiti a sciare.
Beati loro, li invidio
Beh, ma mica faccio solo quello; qui in albergo c’è sempre da fare.
E ora i Club Rotary del Trentino-Alto Adige ti hanno assegnato il Premio Rotary 2025
Mi sento onorato di ricevere il Premio Rotary Trentino-Alto Adige/Südtirol 2025. Sono par ticolarmente lieto di accogliere a Trafoi i rap presentanti dei Club Rotary e di poter donare al Südtiroler Kinderdorf di Bressanone e al SOS Children’s Summer Camp di Caldonazzo la somma che hanno raccolto. Ho dodici nipoti che vivono in situazioni familiari felici. Non tutti i bambini, purtroppo, hanno questa fortuna. Sono particolarmente contento, dunque, di poter dare a questi ragazzi un piccolo aiuto.
Gustav Thöni, grazie per il dialogo!